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Italiano - Letteratura

Tucidide: le ragioni della forza

Nel V libro della Guerra del Peloponneso, dedicato alle vicende del lungo conflitto che oppose Sparta ad Atene alla fine del V secolo, Tucidide racconta che gli Ateniesi, i quali dominavano i mari con la loro flotta, misero sotto assedio l'isola di Melo. I Melii erano coloni spartani, ma avrebbero preferito rimanere neutrali. Gli Ateniesi non potevano tollerare che un'isola indipendente interrompesse la continuità e indebolisse la reputazione delle loro egemonia marittima.

Gli strateghi ateniesi, prima di cominciare a combattere, inviarono ambasciatori per intavolare trattative. Essendo l'isola di Melo un'oligarchia, gli ambasciatori non furono condotti davanti al popolo, ma davanti ai magistrati e agli oligarchi. L'assenza del popolo rende credibili le argomentazioni crude e dirette che Tucidide mette in bocca - come è solito fare - ai rappresentanti ateniesi, per esprimere, per così dire, le leggi non scritte della politica. I protagonisti del dialogo, infatti, sono i delegati di una grande potenza, che impongono di scegliere fra la sottomissione e l'annientamento, e degli oligarchi che prendono le loro decisioni per conto di un popolo assente. Il colloquio riservato fra Ateniesi e Melii è una sede adatta a mettere in scena gli arcana imperii.

I delegati ateniesi propongono di discutere assumendo come riferimento il sympheron, l'utile, e non il dikaion, il giusto, perché:

    ...nella considerazione [logos] umana il giusto [dikaia, come complesso dei diritti e dei doveri di ciascuno] viene preferito per una uguale necessità [apo tes ises ananches], mentre chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede. [V, 89, 1]

In altri termini, ha senso parlare di giusto solo se i rapporti di forza fra le parti sono tali che nessuna delle due può prevalere sull'altra, e occorre pertanto trovare un modus vivendi, che funzionerà solo finché esisterà questa situazione di parità. Altrimenti, se si assume il punto di vista del sympheron, non è "utile" parlare di giusto, perché basta la forza a risolvere i conflitti. Anche per il debole è "utile" cedere, perché la sottomissione spontanea gli eviterà mali peggiori. Bisogna sottolineare che Ateniesi e Melii si intendono sui termini morali del discorso perché condividono il medesimo concetto di "utile".

 

https://btfp.sp.unipi.it/dida/gorgia/apa.xhtml

 

Il colloquio o meglio lo scontro dialettico, che meriterebbe di essere letto per intero, fu lungo, articolato, con frasi argomentate e momenti di grande tensione, con botte e risposte, con gli ateniesi che cercavano di convincere i Meli e questi che replicavano. Qui riporto alcuni aspetti di rilievo e di grande efficacia. Incidentalmente, potremmo ricordare una favola significativa di Fedro (e prima ancora di Esopo), quale appunto il lupo e l’agnello “… Superior stabat lupus, longeque inferior agnus…”.

Scontro Dialettico

MELI… “La ragionevolezza dell’insegnarci tranquillamente a vicenda, non incontra il nostro biasimo, ma i preparativi di guerra che sono già qui presenti e non tarderanno a mostrarsi, ci appaiono discordanti da tutto ciò. Giacché vediamo che voi siete venuti qui a giudicare quello che diremo, e che la conclusione della discussione, se come è naturale noi avremo la meglio in difesa del diritto e perciò non cederemo, ci porterà la guerra, mentre se saremo persuasi ci porterà la schiavitù”.

ATENIESI “… Noi siamo certi… che nelle considerazioni umane il diritto è riconosciuto in seguito a una uguale necessità per le due parti, mentre chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede”.

ATENIESI “… Ma per quanto riguarda la pietà dei sentimenti verso la divinità, neppure noi crediamo di restare indietro, ché noi non esigiamo né facciamo alcuna cosa che devii dalle umane credenze nei confronti della divinità, o dagli umani desideri nei confronti degli stessi. Noi crediamo infatti che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini, lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza…”.

https://www.nuovefrontiere.net/terribile-confronto-verbale-fra-gli-ateniesi-e-i-meli/

 

Nel 416, l’isola di Melo, neutrale anche se amica di Sparta, rifiutò di entrare a far parte della lega ateniese. Dopo un lungo assedio, gli ateniesi passarono per le armi tutti gli adulti maschi caduti nelle loro mani e resero schiavi i fanciulli e le donne, concludendo la guerra con l’occupazione militare dell’isola.

L’episodio, minore per rilevanza militare, riveste evidentemente un significato particolare per l’ateniese Tucidide che riferisce il drammatico colloquio tra i meli e gli emissari ateniesi presentando temi e forma argomentativa propri della sofistica [La guerra del Peloponneso, V, 85-114].

Gli ateniesi presentano la situazione con brutale franchezza: Atene ha interesse a sottomettere Melo, non a distruggerla. E’ meglio perciò che ognuno valuti con realismo la circostanza, perché non si parla di giustizia in una condizione di radicale diseguaglianza dei rapporti di forza.

I meli accettano a malincuore di lasciare il discorso sulla giustizia e di portarsi sul piano dell’utilità e consigliano gli ateniesi di rispettare la loro neutralità perché, in caso contrario, provocherebbero la riprovazione di tutti i greci e la ritorsione di Sparta, ma l’argomento non convince gli emissari che vedono l’ipotesi proposta dai meli come un’ammissione di debolezza da parte di Atene.

 

89. Ateniesi: “Da parte nostra, non faremo ricorso a frasi sonanti; non diremo fino alla noia che è giusta la nostra posizione di predominio perché abbiamo debellato i Persiani e che ora marciamo contro di voi per rintuzzare offese ricevute: discorsi lunghi e che non fanno che suscitare diffidenze. Però riteniamo che nemmeno voi vi dobbiate illudere di convincerci col dire che non vi siete schierati al nostro fianco perché eravate coloni di Sparta e che, infine, non ci avete fatto torto alcuno. Bisogna che da una parte e dall’altra si faccia risolutamente ciò che è nella possibilità di ciascuno e che risulta da un’esatta valutazione della realtà. Poiché voi sapete tanto bene quanto noi che, nei ragionamenti umani, si tiene conto della giustizia quando la necessità incombe con pari forze su ambo le parti; in caso diverso, i più forti esercitano il loro potere e i più deboli vi si adattano”.

90. Meli: “Orbene, a nostro giudizio almeno, l’utilità stessa (poiché di utilità si deve parlare, secondo il vostro invito, rinunciando in tal modo alla giustizia) richiede che non distruggiate quello che è un bene di cui tutti possono godere; ma quando qualcuno si trova nel pericolo, non gli sia negato ciò che gli spetta ed è giusto; e anche, per quanto deboli siano le sue ragioni, possa egli trarne qualche vantaggio, convincendone gli avversari. Questa politica sarà soprattutto utile per voi, poiché, in caso di insuccesso, servirete agli altri d’esempio per l’atroce castigo”.

91. Ateniesi: “Non siamo preoccupati, anche se il nostro impero dovesse crollare, per la sua fine: poiché, per i vinti, non sono tanto pericolosi i popoli avvezzi al dominio sugli altri, come ad esempio, gli Spartani (d’altra parte, ora, noi non siamo in guerra con Sparta), quanto piuttosto fanno paura i sudditi, se mai, assalendo i loro dominatori, riescano a vincerli. Ma, se è per questo, ci si lasci pure al nostro rischio. Siamo ora qui, e ve lo dimostreremo, per consolidare il nostro impero e avanzeremo proposte atte a salvare la vostra città, poiché noi vogliamo estendere il nostro dominio su di voi senza correre rischi e nello stesso tempo salvarvi dalla rovina, per l’interesse di entrambe le parti”.

92. Meli: “E come potremmo avere lo stesso interesse noi a divenire schiavi e voi ad essere padroni?”.

93. Ateniesi: “Poiché voi avrete interesse a fare atto di sottomissione prima di subire i più gravi malanni e noi avremo il nostro guadagno a non distruggervi completamente”.

94. Meli: “Sicché non accettereste che noi fossimo, in buona pace, amici anziché nemici, conservando intatta la nostra neutralità?”.

95. Ateniesi: “No, perché ci danneggia di più la vostra amicizia, che non l’ostilità aperta: quella, infatti, agli occhi dei nostri sudditi, sarebbe prova manifesta di debolezza, mentre il vostro odio sarebbe testimonianza della nostra potenza”.

96. Meli: “E i vostri sudditi sono così ciechi nel valutare ciò che è giusto, da porre sullo stesso piano le città che non hanno con voi alcun legame e quelle che, per lo più vostre colonie, e alcune addirittura ribelli, sono state ridotte al dovere?”.

97. Ateniesi: “Essi pensano che tanto agli uni che agli altri non mancano motivi plausibili per difendere la loro causa, ma ritengono che alcuni siano liberi perché sono forti e noi non li attacchiamo perché abbiamo paura. Sicché, senza contare che il nostro dominio ne risulterà più vasto, la vostra sottomissione ci procurerà maggior sicurezza; tanto più se non si potrà dire che voi, isolani e meno potenti di altri, avete resistito vittoriosamente ai padroni del mare”.

[…]

104. Meli: “Anche noi (e potete ben crederlo) consideriamo molto difficile cimentarci con la potenza vostra e contro la sorte, se non sarà ad entrambi ugualmente amica. Tuttavia abbiamo ferma fiducia che, per quanto riguarda la fortuna che procede dagli dèi, non dovremmo avere la peggio, perché, fedeli alla legge divina, insorgiamo in armi contro l’ingiusto sopruso; quanto all’inferiorità delle nostre forze, ci assisterà l’alleanza di Sparta, che sarà indotta a portarci aiuto, se non altro, per il vincolo dell’origine comune e per il sentimento d’onore. Non è, dunque, al tutto priva di ragione la nostra audacia”.

105. Ateniesi: “Se è per la benevolenza degli dèi, neppure noi abbiamo paura di essere da essi trascurati; poiché nulla noi pretendiamo, nulla facciamo che non s’accordi con quello che degli dèi pensano degli uomini e che gli uomini stessi pretendono per sé. Gli dèi, infatti, secondo il concetto che ne abbiamo, e gli uomini, come chiaramente si vede, tendono sempre, per necessità di natura, a dominare ovunque prevalgano per forze. Questa legge non l’abbiamo istituita noi, non siamo nemmeno stati i primi ad applicarla; così, come l’abbiamo ricevuta e come la lasceremo ai tempi futuri e per sempre, ce ne serviamo, convinti che anche voi, come gli altri, se aveste la nostra potenza, fareste altrettanto.

Da parte degli dèi, dunque, com’è naturale, non temiamo di essere in posizione di inferiorità rispetto a voi. Per quel che riguarda l’opinione che avete degli Spartani, e sulla quale basate la vostra fiducia che essi accorreranno in vostro aiuto per non tradire l’onore, noi vi complimentiamo per la vostra ingenuità, ma non possiamo invidiare la vostra stoltezza. Gli Spartani, infatti, quando si tratta di propri interessi e delle patrie istituzioni, sono più che mai seguaci della virtù, ma sui loro rapporti con gli altri popoli molto ci sarebbe da dire: per riassumere in breve, si può con molta verità dichiarare che essi, più sfacciatamente di tutti i popoli che conosciamo, considerano virtù ciò che piace a loro e giustizia ciò che loro è utile: un tal modo di pensare, dunque, non s’accorda con la vostra stolta speranza di salvezza.

https://gabriellagiudici.it/tucidide-il-dialogo-dei-meli-dissoi-logoi-e-diritto-del-piu-forte/

Vedia anche "Il senso della necessità che fatalmente guida il succedersi degli eventi"


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