Contesto, argomento, messaggio
Questa poesia, scritta da Giovanni Pascoli, uno dei maggiori poeti decadenti italiani, fa parte di una raccolta, Myricae, pubblicata nel 1891. Il titolo, la cui traduzione dal latino significa tamerici, allude ad una realtà semplice e umile. In questa poesia è presente uno dei temi più suggestivi della poesia pascoliana ossia la descrizione della campagna autunnale nella quale il poeta proietta gli stati d'animo.
Nella prima strofa si descrive un campo che è lavorato solo in parte a simboleggiare il senso di incompiutezza che spesso accompagna la vita dell'uomo; nella seconda viene descritto il lavoro delle donne intente a lavare i panni nel canale; nella terza, in cui Pascoli riprende quasi per intero il testo di un canto popolare marchiggiano, una donna aspetta inutilmente il ritorno dell'amato.
Il poeta gioca con le descrizioni visive che prevalgono nella prima strofa e con quelle uditive che prevalgono invece nella seconda e terza strofa.
Tutta la poesia, attraverso la rappresentazione del paesaggio, il lavoro delle lavandaie e la vicenda dell’abbandono della donna, è ricca di malinconia ed evoca la nostalgia per quel qualcosa che non tornerà e che sfugge per sempre.
Lingua, stile e forma metrica
La poesia è formata da dieci versi liberi, di diversa lunghezza, raggruppati in tre strofe (due terzine e una quartina finale). Tra le figure retoriche più importanti vanno segnalate l'onomatopea e la similitudine.
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1-3. Nel campo mezzo arato e mezzo no [[mezzo grigio e mezzo nero: il campo è lavorato solamente a metà; nella parte non arata la terra appare ancora grigia e compatta]] rimane un aratro abbandonato (senza buoi) che sembra dimenticato, tra la nebbia (vapore). 4-6. Il ritmo cadenzato proviene dal canale (gora) dove le lavandaie sciacquano nell'acqua i panni (lo sciabordare – onomatopea) con frequenti (spessi) colpi sordi (tonfi) e lunghi canti popolari (tonfi-spessi/lunghe-cantilene: chiasmo sostantivo-aggettivo/aggettivo-sostantivo).
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