Parafrasi

Milano, agosto 1943 - di Salvatore Quasimodo - Parafrasi

Milano, agosto 1943 - di Salvatore Quasimodo - Parafrasi
Autore: Sistema
Data: 19/10/2025
Tipo: Materiale didattico
Dimensione: 6176 caratteri
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Contesto, argomento, messaggio

Milano, agosto 1943, è stata scritta durante la seconda guerra mondiale quando Milano, come altre città italiane, fu colpita da violenti bombardamenti. La poesia fa parte della raccolta Giorno dopo giorno (1947) e rientra nella produzione poetica di impegno civile di Quasimodo, seguita alle vicende della seconda guerra mondiale, quando il poeta, pur mantenendo gli stessi modi espressivi dell'ermetismo, affronta temi di tipo sociale, storico e politico.

La poesia parla dei bombardamenti che colpirono Milano nell’agosto del 1943, seminando morte e distruzione. Forse però il dato più drammatico non è la devastazione fisica e materiale (della città e delle persone) ma la perdita di ogni speranza, di ogni attaccamento alla vita da parte dei sopravvissuti.

Il poeta apre il componimento rivolgendosi proprio ai sopravvissuti che cercano "invano" tra le macerie altri superstiti. Il gesto è però inutile perchè tutta la città è morta. Il concetto di morte che tocca tutti è poi enfatizzato da una metafora che mostra la caduta (cioè la morte) dell´usignolo, il simbolo della vita. Di fronte a tanta violenza è inutile tentare di ricostruire per riprendere la vita di tutti i giorni; è inutile persino seppellire i morti: perchè, ed è forse questa la cosa più importante e l'aspetto più drammatico della poesia, è morta e la voglia stessa di vivere degli uomini

Lingua, stile e forma metrica

La poesia è raccolta in un´unica strofa di versi liberi, di diversa lunghezza, in cui sono spesso presenti delle assonanze. Il poeta genera immagini drammatiche (immagini che in alcuni passaggi arrivano a suscitre orrore), utilizzando un linguaggio aspro e crudo che si avvale di frequenti ripetizioni. Tra le figure retoriche più importanti vanno segnalate la metafora e la personificazione.

                                                                                                                                           

 

  1. Invano cerchi tra la polvere,
  2. povera mano, la città è morta.
  3. È morta: s’è udito l’ultimo rombo
  4. sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
  5. è caduto dall’antenna, alta sul convento,
  6. dove cantava prima del tramonto.
  7. Non scavate pozzi nei cortili:
  8. i vivi non hanno più sete.
  9. Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
  10. lasciateli nella terra delle loro case:
  11. la città è morta, è morta.

 

[[Il poeta si rivolge ai sopravvissuti sottolineando l’inutilità di ogni ricerca e di ogni speranza]]. Invano cerchi tra le macerie, povera mano, la città è morta. (tra la polvere - sineddoche) (la città è morta - personificazione) [[la mano rappresenta un sopravvissuto che scava tra le macerie per trovare qualcuno ancora vivo]].

È morta: s’è sentito l’ultimo rombo [[dell´ultimo bombardiere]] sul cuore della città [[il Naviglio è il principale canale che scorre in mezzo a Milano]]. E l’usignolo (metafora – la figura dell’usignolo simboleggia la vita) è caduto [[è caduto ogni segno di vita]] dall’antenna, alta sul convento, dove cantava prima del tramonto [[il canto, simbolo di vita, si è spento per sempre]]

[[Con questi versi il poeta chiude il componimento richiamando l’inutilità di ogni gesto; in questo caso l´inutilità di ricostruire per tornare alla vita di prima]] Non costruite pozzi nei cortili: i vivi non hanno più sete [[ cioè, non hanno più voglia di vivere]].

Non (anafora – il verbo inizia come il v. 7 con non) toccate (assonanza, cioè rima di mezzo, con scavate del v.7) i morti, così rossi, così gonfi  [[l´immagine di questi corpi così cruda, quasi violenta, esprime un concetto altrettanto duro: non più necessario rimuovere i morti per seppellirli]]: lasciateli nelle macerie delle loro case [[ le loro case distrutte diventano le loro tombe]]: perché tutta la città è un immenso cimitero (è morta - personificazione) (il poeta chiude la poesia riprendendo l’espressione che chiudeva il v.2 e apriva il v.3 come se fosse un rintocco funebre)