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All‘ automobile da corsa

All‘ automobile da corsa
Autore: Sistema
Data: 20/10/2025
Tipo: Materiale didattico
Dimensione: 6628 caratteri
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Veemente dio d'una razza d'acciaio,
Automobile ebbra di spazio,
che scalpiti e fremi d'angoscia
rodendo il morso con striduli denti...
Formidabile mostro giapponese,
dagli occhi di fucina,
nutrito di fiamma
e d'oli minerali,
avido d'orizzonti, di prede siderali...
Io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente,
scateno i tuoi giganteschi pneumatici,
per la danza che tu sai danzare
via per le bianche strade di tutto il mondo!...


Allento finalmente
le tue metalliche redini,
e tu con voluttà ti slanci
nell'Infinito liberatore!
All'abbaiare della tua grande voce
ecco il sol che tramonta inseguirti veloce
accelerando il suo sanguinolento
palpito, all'orizzonte...
Guarda, come galoppa, in fondo ai boschi, laggiù...
Che importa, mio démone bello?
Io sono in tua balìa!...Prendimi!... Prendimi!...

 


Sulla terra assordata, benché tutta vibri
d'echi loquaci;
sotto il cielo acciecato, benché folto di stelle,
io vado esasperando la mia febbre
ed il mio desiderio,
scudisciandoli a gran colpi di spada.
E a quando a quando alzo il capo
per sentirmi sul collo
in soffice stretta le braccia
folli del vento, vellutate e freschissime...

Sono tue quelle braccia ammalianti e lontane
che mi attirano, e il vento
non è che il tuo alito d'abisso,
o Infinito senza fondo che con gioia m'assorbi!...
Ah! ah! vedo a un tratto mulini
neri, dinoccolati,
che sembran correr su l'ali
di tela vertebrata
come su gambe prolisse...

Ora le montegne già stanno per gettare
sulla mia fuga mantelli di sonnolenta frescura,
là, a quel sinistro svolto...
Montagne! Mammut in mostruosa mandra,
che pesanti trottate, inarcando
le vostre immense groppe,
eccovi superate, eccovi avvolte
dalla grigia matassa delle nebbie!...
E odo il vago echeggiante rumore
che sulle strade stampano
i favolosi stivali da sette leghe
dei vostri piedi colossali...

O montagne dai freschi mantelli turchini!...
O bei fiumi che respirate
beatamente al chiaro di luna!
O tenebrose pianure!... Io vi sorpasso a galoppo!...
Su questo mio mostro impazzito!...
Stelle! mie stelle! l'udite
il precipitar dei suoi passi?...
Udite voi la sua voce, cui la collera spacca...
la sua voce scoppiante, che abbaia, che abbaia...
e il tuonar de' suoi ferrei polmoni
crrrrollanti a prrrrecipizio
interrrrrminabilmente?...
Accetto la sfida, o mie stelle!...
Più presto!...Ancora più presto!...
E senza posa, né riposo!...
Molla i freni! Non puoi?
Schiàntali, dunque,
che il polso del motore centuplichi i suoi slanci!

Urrà! Non più contatti con questa terra immonda!
Io me ne stacco alfine, ed agilmente volo
sull'inebriante fiume degli astri
che si gonfia in piena nel gran letto celeste!


Questo componimento appartiene a La ville charnelle, un'opera pubblicata a Parigi nel 1908. Si tratta dell’unico brano tradotto dal francese all’italiano e stampato a Milano nel 1921 con il titolo "Lussuria-Velocità".

Al suo interno emerge un tema centrale per Filippo Tommaso Marinetti e i poeti futuristi: la celebrazione del progresso tecnologico, della civiltà delle macchine e della velocità come simbolo del dinamismo moderno. Questi motivi, l’anno seguente, avrebbero ispirato il primo Manifesto del Futurismo, apparso sulle pagine del «Le Figaro».

Il testo è un inno alla macchina e alla velocità, dove l’automobile (per i futuristi, un sostantivo maschile) diventa simbolo della nuova civiltà meccanica, protesa verso il futuro.

Viene celebrato come "dio d’una razza d’acciaio", paragonato a un cavallo infuriato al galoppo e a un "mostro giapponese", assumendo tratti insieme bestiali e divini. È un demone meccanico che trasporta il poeta attraverso paesaggi sconfinati, in un’ebbrezza di pura velocità. La corsa sfrenata di Marinetti si conclude con un volo liberatorio "da questa terra immonda", verso le stelle.

Fin dai primi versi, il testo abbonda di metafore audaci:

  • "Veemente dio d’una razza d’acciaio"
  • "ebbrrra di spazio"
  • "scalpiti e frrremi d’angoscia rodendo il morso con striduli denti…"

Queste immagini ritraggono l’automobile come una creatura vivente, potente e selvaggia, insieme divina e mostruosa. L’uso ossessivo di onomatopee ("ebbrrra", "frrremi", "Prrrendimi!", "crrrrollanti a prrrrecipizio…") riproduce il rombo del motore, trasformato in una voce animale, "scoppiante, che abbaia, che abbaia…".

In questo turbinio di suoni e visioni, Marinetti fonde tecnologia e mito, anticipando lo slancio distruttivo e rigeneratore del Futurismo.

Dal punto di vista grafico, il testo mantiene una struttura tradizionale, priva delle sperimentazioni tipografiche che diventeranno poi un tratto distintivo del movimento. Il verso è libero.

In queste pagine, insomma, si anticipa lo spirito rivoluzionario che avrebbe presto cambiato per sempre il volto della poesia.